(Approfondimento a cura di Ciro Vestita, consulente di strategia e direzione)

Da studi di settore emerge che:

  • 1/4 delle imprese familiari guidata da ultra-settantenni, mostra una profittabilità inferiore rispetto ad aziende “più giovani”
  • solo 1/3 delle imprese sopravvive al proprio fondatore
  • di queste, solo la metà raggiunge il traguardo della “terza generazione”.

Sono dati che devono indurre, tanto i fondatori, quanto i discendenti, a una profonda riflessione poiché interessa una vasta e importante platea: tra le aziende italiane con un volume d’affari oltre i 20 milioni di euro, due su tre sono imprese familiari (fonte: dati dell’Osservatorio AUB sulle Aziende Familiari Italiane).

L’impresa e la famiglia: due rette parallele che spesso convergono

Il tema è delicato poiché influenza non solo la sfera professionale e patrimoniale ma incide anche su quella personale e affettiva. È tuttavia altrettanto indubbio che il tema debba essere affrontato con pragmatismo, con lucidità e, soprattutto, con senso pratico. Si intrecciano diversi aspetti:

  1. aspetti emotivi, sentimentali, affettivi:
  • il “pari trattamento” patrimoniale degli eredi
  • la tutela delle parti “più deboli”
  • la presenza di congiunti acquisiti (generi, nuore) e di discendenti (nipoti)
  • il trasferimento delle cariche sociali

2. aspetti professionali:

  • la corretta valutazione delle attitudini e competenze della “seconda generazione”
  • i metodi di trasferimento delle partecipazioni (ed i relativi aspetti fiscali)
  • il trasferimento delle cariche sociali
  • la valutazione del sistema di governance
  • la tutela del patrimonio anche attraverso il coinvolgimento di manager esterni.

Seppure esposti in estrema sintesi, i punti evidenziati consentono di cogliere immediatamente l’importanza di mantenere “parallele” queste due rette:

‐ la famiglia e l’emotività che implicitamente la caratterizza

‐ il business, con le sue ben precise esigenze.

L’obiettivo è permettere di operare le scelte più adatte a soddisfare le esigenze che emergono in entrambe le aree. Tuttavia, come è facile intuire, l’affetto ed il sentimento non sempre consentono di adottare quel pragmatismo che il business normalmente richiede. La definizione di una corretta strategia, in relazione alle peculiarità dell’impresa e all’“intreccio” sopra descritto, costituisce il nucleo centrale per garantire la continuità, il consolidamento e lo sviluppo e dell’attività imprenditoriale.

È del tutto abituale riscontrare, invece, un approccio self-made del passaggio generazionale, senza alcuna analisi di quanto sopra menzionato, pur trattandosi di uno dei momenti più delicati e critici nella vita dell’impresa familiare.

L’assistenza di professionisti che hanno già maturato esperienze sull’argomento, che godono della loro particolare “libera” posizione, ovvero scevra da qualunque condizionamento affettivo, risulta spesso utile per consentire di confrontarsi con idee, spunti e conoscenze organizzative.

Ma questo spesso non accade: il passaggio generazionale viene vissuto come un momento “intimo” al quale solo i familiari possono partecipare, esponendo l’impresa familiare ed i familiari al rischio di far “convergere le due rette” che, come detto, devono invece restare “parallele”. È proprio questo “clima di intimità” che diventa spesso l’incubatore di un coinvolgimento emotivo che mina la razionalità alla quale occorre necessariamente fare ricorso.

La capacità di mantenere separate le due rette permette di incidere sulla tutela:

a. degli aspetti patrimoniali (e personali), garantendo:

  • il “pari trattamento” patrimoniale degli eredi
  • la tutela delle parti “più deboli”
  • la gestione della presenza di congiunti acquisiti e discendenti

b. dell’impresa, garantendo:

  • la corretta valutazione delle attitudini e delle competenze della “seconda generazione”
  • i metodi di trasferimento delle partecipazioni (ed i relativi aspetti fiscali)
  • il trasferimento delle cariche sociali
  • una corretta valutazione del sistema di governance
  • la tutela del patrimonio aziendale, se necessario, anche attraverso il coinvolgimento di manager esterni.

Le competenze e le attitudini: parti forti e parti deboli

La valutazione delle competenze, delle attitudini e, anche, dell’indole dei discendenti è fondamentale per disegnare un progetto capace di declinare adatte garanzie sia all’impresa, sia ai discendenti stessi. Tuttavia è altrettanto indiscussa la delicatezza del tema: può un genitore conservare la freddezza per valutare le competenze e le attitudini del proprio figlio, senza subire il condizionamento affettivo? E se uno dei genitori non è coinvolto nella vita aziendale e non ha sviluppato poi quella naturale propensione alla valutazione dei collaboratori, con quale spirito approccerà il problema? L’aiuto fornito sul punto da professionisti che hanno già affrontato l’argomento può permettere un approccio scevro da qualunque condizionamento e con il bagaglio di precedenti esperienze.

Perché la valutazione delle competenze e attitudini è da ritenersi fondamentale? Per due ragioni:

  1. perché permette di individuare il soggetto più adatto a “prendere in mano le redini” della conduzione dell’Impresa familiare
  2. perché consente, laddove siano presenti più discendenti, di individuare le “parti forti” e le “parti deboli”.

La “parte forte” è sicuramente rappresentata dal discendente con maggiori attitudini imprenditoriali e con maggiori competenze professionali. Il suo futuro (economico-finanziario) è assicurato non solo dalla possibilità di operare all’interno dell’Impresa familiare ma spesso, per le loro doti, questi soggetti non avrebbero problemi a trovare facile collocazione presso altre imprese o a costituirne una propria.

La “parte debole” è, per contro, rappresentata dal discendente con scarse attitudini imprenditoriali. Se a ciò si dovesse aggiungere anche una competenza professionale di basso spessore, appare evidente la precarietà del suo futuro.

La scelta, a cura dei genitori, del soggetto più idoneo a guidare l’azienda familiare diventa determinante non solo per garantire longevità all’impresa stessa ma, anche – attraverso una adeguata analisi e di conseguenza attraverso precise scelte in tema di governance – a creare quelle “tutele finanziario-patrimoniali” in favore della “parte debole”.

La governance dell’impresa familiare

Spesso, animati dalle migliori intenzioni per garantire un “equo” trattamento ai figli, si assiste alla scelta di attribuire il 50% delle partecipazioni ai due figli e, magari, anche di altri asset. Non v’è dubbio alcuno che tale scelta risulti equa. Altrettanto vero è che la parità di trattamento non necessariamente deve transitare attraverso una scelta che rischia di porre l’impresa in posizione di stallo laddove dovessero nascere controversie. Il tema della governance assume, anche in relazione a quanto brevemente accennato in merito alla parte “debole” e alla parte “forte”, una importanza basilare.

La riduzione del rischio nella governance dell’impresa significa creare i migliori presupposti del suo funzionamento: di conseguenza la possibilità, per l’impresa, di generare profitto. Perché dunque non ipotizzare di attribuire al discendente con maggiori doti imprenditoriali il pacchetto di controllo, con garanzia di reddito per l’altro figlio, attraverso la definizione di dividendi minimi? Il differente trattamento patrimoniale può trovare compensazione attraverso l’assegnazione di altri beni (immobili, titoli, liquidità) assicurando quindi l’equità ricercata dai genitori.

Nell’ambito della governance si inseriscono anche altre componenti quali, a titolo esemplificativo, la gestione della successione in caso di premorienza della “seconda generazione”, al ruolo che possono assumere gli eredi (soprattutto i coniugi superstiti). Risulta pertanto evidente che la definizione del miglior sistema di governance non può che passare attraverso un’attenta analisi di numerosi aspetti fra i quali anche quelli relazionali.

Anche in questa fase l’intervento di professionisti qualificati diventa di grande utilità per disegnare il migliore scenario possibile, per aprire un sano dibattito proprio per non trascurare alcun dettaglio.

L’ingresso di soggetti terzi nell’azienda famigliare

Il coinvolgimento di soggetti terzi nell’impresa famigliare rappresenta in alcune circostanze una scelta obbligata oppure, in altre, l’esito di attente riflessioni sul migliore assetto organizzativo.

Laddove non siano presenti e/o disponibili discendenti per la guida delle imprese famigliari (si pensi a un gruppo di imprese facenti capo alla medesima famiglia oppure alla presenza di un solo discendente che ha adottato scelte personali che non lo vedono coinvolto nell’azienda famigliare), la presenza di manager esterni rappresenta l’unica alternativa alla deriva dell’impresa.

Diverse, invece, le motivazioni che portano alla scelta di inserire manager esterni pur in presenza di familiari coinvolti nella conduzione dell’Impresa familiare.

Sono di solito dettate dall’esigenza di innovarsi tramite il confronto con soggetti terzi che hanno maturato esperienze diverse da quelle dell’impresa famigliare.

Assodato che l’ambiente nel quale operano le imprese subisce importanti mutazioni e in modo veloce (si pensi alla globalizzazione, alla nascita di nuovi strumenti informatici, alle “guerre dei dazi” e alle loro conseguenze), appare evidente l’importanza di adeguare alle “nuove” esigenze i propri modelli organizzativi, i propri processi.

La presenza di soggetti terzi può facilitare l’individuazione e l’attuazione di adeguate soluzioni grazie al confronto e alla possibilità di attingere a esperienze e conoscenze non acquisite nell’ambito della stessa impresa familiare.

Ma, spesso, le imprese famigliari, per la loro naturale connotazione, non sono naturalmente portate ad “aprirsi a estranei”: consolidano la propria organizzazione, il proprio stile, riscontrando in modo quasi automatico difficoltà ad adeguarsi in modo coerente con le nuove situazioni di mercato.

Alcune imprese famigliari hanno dato dimostrazione di grande lungimiranza consentendo l’ingresso nei CdA di soggetti terzi, senza poteri, unicamente per poter approfittare del loro apporto intellettuale.

Non svolgono ruoli operativi ma, al contempo, permettono la creazione di spazi di brain storming garantendosi la possibilità di adottare soluzioni innovative. È utile osservare che questa apertura è spesso promossa dalle “nuove generazioni”, altrettanto spesso promossa con lo scopo di facilitare la discussione fra i familiari.

In conclusione, se la matrice “familiare” rappresenta l’elemento coagulante e determinante per il successo ottenuto, il cambiamento, frutto di una precisa progettazione, costituisce il fulcro per garantirne la continuità.

Come posso saperne di più?

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